Cambio di destinazione d’uso

Che pratica occorre, quando è consentito realizzarlo e i costi dell’intervento

Questo articolo cercherà di darvi delle informazioni più dettagliate sul “Cambio di destinazione d’uso” degli immobili. Si andranno a conoscere quali sono i permessi, le autorizzazioni e le pratiche edilizie (Cila, Scia o Permesso di costruire) da redigere. Si cercherà anche di conoscere la tempistica realizzativa e i costi da sostenere.

Il cambio di destinazione d’uso di un immobile è una delle operazioni più “complesse” in ambito urbanistico. Il cambio d’uso o mutamento deve avvenire in primis a livello comunale, solo successivamente catastale. Andrà quindi presentata una adeguata pratica edilizia all’ufficio tecnico del proprio Comune. Solo successivamente all’ottenimento del mutamento da parte del Comune si potrà procedere con l’aggiornamento della parte catastale, tramite il procedimento di fine lavori urbanistico.

Qui di seguito vi riporto un indice dei vari paragrafi che troverete all’interno di questo articolo:

Indice:

  1. Quali sono le destinazioni d’uso riconosciute dalla normativa vigente?
  2. Quando può essere svolto il cambio di destinazione d’uso?
  3. Che tipo di pratica edilizia serve per ottenere in cambio d’uso?
  4. Per il cambio d’uso si pagano degli oneri di urbanizzazione al Comune?
  5. In quanto tempo posso ottenere il cambio di destinazione d’uso?
  6. Quanti costi si devono sostenere per il cambio d’uso?

Premesso ciò, partiamo con il definire quali sono le categorie di destinazioni

Quali sono le destinazioni d’uso riconosciute dalla normativa vigente?

La definizione di destinazione d’uso di un immobile è identificata come l’insieme delle finalità di utilizzazione di un manufatto edilizio.

La normativa vigente stabilisce cinque categorie di destinazioni:

1) residenziale: abitazioni di qualsiasi genere e natura. Sono comprese quelle utilizzate in modo promiscuo (abitazione – studio professionale o abitazione – affittacamere) quando la prevalente superficie dell’unità sia adibita ad uso abitativo;

2) turistico-ricettivaalberghi, residenze turistico-alberghiere, campeggi ed aree di sosta, nonché le altre attività a carattere essenzialmente ricettivo, come ostelli, e le altre attività extra-alberghiere;

3) produttiva e direzionale: industrie, laboratori artigiani, corrieri, magazzini ed imprese edili, laboratori di riparazione e simili, officine e carrozzerie e in genere ogni attività finalizzata alla produzione di beni o servizi, oppure alla trasformazione di beni o materiali, anche quando comprendono, nella stessa unità, spazi destinati alla commercializzazione dei beni prodotti dall’azienda. Anche banche, assicurazioni, sedi preposte alla direzione ed organizzazione di enti e società fornitrici di servizi, centri di ricerca, fiere, uffici privati e studi professionali in genere;

4) commerciale: all’ingrosso, negozi di vicinato, media distribuzione, le attività commerciali di grande distribuzione, le attività commerciali all’ingrosso, i mercati, le esposizioni merceologiche e le attività di somministrazione di alimenti e bevande come ristoranti, bar, pub, ecc..;

5) agricola e funzioni connesse ai sensi di legge: produzione agraria, allevamento e forestazione, attività e servizi connessi e compatibili, campi coltivati, colture floro-vivaistiche, boschi, pascoli, abitazioni rurali, annessi agricoli e serre, costruzioni per allevamenti zootecnici, agriturismi, agri-campeggi.

Nei casi in cui siano presenti, nell’immobile, differenti destinazioni d’uso, viene attribuita la destinazione d’uso prevalente in termini di superficie utile. In sostanza, se un’unità è di tipo produttivo al 50,01% e di tipo commerciale al 49,09 %, allora l’immobile sarà definito come produttivo. Le due attività devono però essere collegate, ovvero se uno produce delle conserve alimentari, non potrà vendere materiali edili.

La normativa definisce anche il cambio di destinazione d’uso di tipo rilevante ai fini urbanistici. Il cambio di destinazione d’uso rilevante è ogni forma di utilizzo dell’immobile diversa da quella originaria, con o senza opere, che comporti il passaggio ad una diversa categoria funzionale. Se si resta all’interno della stessa categoria, non vi è un mutamento di tipo rilevante. A esempio: se si vuole trasformare una abitazione in affittacamere, è possibile e non ricade nel cambio d’uso di tipo rilevante. Differente è trasformare un locale con destinazione di tipo commerciale in un centro direzionale. In questo caso passando da una destinazione industriale ad una direzionale si deve attuare si ricade nel cambio d’uso rilevante.

Quando può essere svolto il cambio di destinazione d’uso?

Il cambio di destinazione d’uso è sempre ammesso salvo che in alcuni casi. Ad esempio se non ci siano le caratteristiche idonee al mutamento, oppure se non ci siano delle regole prestabilite come ad esempio nei condomini, ecc.

Vediamo meglio i possibili impedimenti:

a) l’immobile non possiede le caratteristiche intrinseche obbligatorie per legge. Infatti, a seconda del tipo di destinazione d’uso, bisognerà rispettare determinate prescrizioni igienico-sanitarie. Ad esempio i locali devono rispettare le superfici minime e i rapporti aeroilluminanti stabilite dal Regolamento Locale d’Igiene del proprio Comune.

b) lo strumento urbanistico del proprio Comune ha indicato che su quel determinato immobile non è possibile realizzare il cambio destinazione d’uso. Lo strumento adottato dai Comuni è il PGT (Piano del Governo del Territorio). Consultabile direttamente dal sito internet di ogni Comune, oppure presso l’Ufficio Tecnico comunale, così da poter conoscere la zona in cui è inserito l’edificio interessato e scoprirne i vincoli e gli interventi edilizi realizzabili su di esso.

c) se si abita in un condominio dove il regolamento condominiale vieti il cambio di destinazione. Questo divieto è valido solo se il regolamento è di tipo contrattuale ovvero approvato con l’unanimità dei condomini. 

In conclusione è possibile effettuare il cambio di destinazione d’uso:

-rispettando le normative riferite alle dimensioni e rapporti aeroilluminati dei locali,

-non avere impedimenti da parte dei regolamenti condominiali,

-essere privi di vincoli rispetto ai piani e regolamenti locali del proprio Comune,

-non aver nessun limite di tipo impiantistico, per l’eventuale realizzazione di scarichi e canne di esalazione e/o fumarie.

Che tipo di pratica edilizia serve per ottenere in cambio d’uso?

Prima di affrontare il cambio di destinazione d’uso, è sempre consigliato chiedere delle informazioni allo sportello del Ufficio Tecnico comunale, per conoscere quale iter corretto va adottato.

Il cambio di destinazione d’uso, anche se attuato senza opere o con lavori di modesta entità, si configura come una ristrutturazione edilizia soggetta a Permesso di Costruire, in quanto, alla fine dell’intervento, l’organismo edilizio risulterà diverso dal precedente. Il mutamento d’uso, indistintamente dall’entità dei lavori, porta sempre ad una ristrutturazione edilizia di tipo pesante.

Il cambio d’uso rientra nella categoria della Ristrutturazione Edilizia, ed occorre quindi presentare in Comune una istanza di Permesso di Costruire. Non è l’unica pratica presentabile, si può ricorrere anche ad una Cila (comunicazione inizi lavori asseverata), solamente nel caso in cui il cambio avviene all’interno della stessa categoria.

A conclusione della pratica edilizia di “cambio d’uso” si dovrà provvedere all’aggiornamento catastale della planimetria dell’immobile (dove saranno variate la categoria catastale, la rendita, ecc.), comportando la modifica anche delle tasse che si dovranno sostenere, come Imu, Tasi, Tari, ecc., a seguito del mutamento. Inoltre dovrà essere richiesto al Comune il nuovo Certificato di Agibilità (da richiedere con apposita pratica edilizia SCA – Segnalazione Certificata di Agibilità), alla quale andranno allegate le necessarie dichiarazioni di conformità o rispondenza degli impianti in esso contenuti, conformi alle normative vigenti.

Per il cambio d’uso si pagano degli oneri di urbanizzazione al Comune?

Il cambio d’uso, anche se attuato senza opere edilizie, comporta l’obbligo di corrispondere al Comune gli oneri di urbanizzazione. In particolare, si dovranno pagare calcolando la differenza tra quanto si fosse dovuto corrispondere per la nuova destinazione e quello che era già stato versato per la vecchia destinazione. Questo, solo nel caso in cui la nuova destinazione determini un aumento del carico urbanistico della zona.

Gli oneri di urbanizzazione (primaria e secondaria) e il costo di costruzione sono da versare in Comune ogni volta che si costruisce un nuovo edificio. Questi oneri sono gestiti dall’Amministrazione comunale per l’investimento nella realizzazione di strade, reti fognarie, acquedotti, rete di illuminazione.

Il cambio di destinazione d’uso ha per effetto il passaggio da una categoria ad un’altra. Ne segue un differente carico urbanistico (diversi consumi di acqua, di carico nella fognatura, di uso di parcheggi etc.).

Quantificare gli oneri di urbanizzazione non è uguale per tutti i comuni, o meglio, ogni Comune ha differenti valori di oneri e questi variano anche in funzione del tipo di cambio d’uso richiesto.

In quanto tempo posso ottenere il cambio di destinazione d’uso?

Per conoscere la tempistica, bisogna innanzitutto contattare un professionista (Architetto, Geometra, Ingegnere, ecc.) che possa, ricevuto l’incarico, provvedere a richiedere un accesso agli Atti depositati presso il Comune dell’immobile oggetto di intervento, così da verificarne le caratteristiche e le conformità.

Successivamente il professionista provvederà ad un rilievo dell’immobile, così da stabilire se tutto risulta conforme con quanto autorizzato dal Comune tramite le pratiche precedentemente presentate e se vi siano o meno difformità edilizie.

Svolti queste operazioni preliminari, si dovranno verificare i requisiti igienico-sanitari dei locali oggetto di intervento ed eventuali ridistribuzioni progettuali degli spazi. Procederà poi con la stesura e compilazione della modulistica utile e richiesta per il Permesso di Costruire. La tempistica del professionista può variare, in parte è anche legata al reperimento della documentazione dell’immobile presso gli archivi comunali, nella maggior parte dei casi, nel giro di un mesetto o due si è pronti per la presentazione dell’istanza. Si ricorda che la pratica per il cambio di destinazione d’uso prevede, inoltre, che gli impianti siano tutti a norma e dotati di regolare certificato di conformità.

Quanti costi si devono sostenere per il cambio d’uso?

Stabilire a priori quanti costi si devono sostenere non è così semplice, intervengono diverse variabili. Vanno considerate le seguenti voci:

1-costi per accesso agli Atti comunali, variano da Comune a Comune e in alcuni casi anche in base all’età dell’edificio.

2-onorari dei professionisti, anch’essi variabili a seconda che si debbano predisporre solo le pratiche urbanistiche e catastali o anche energetiche e impiantistiche. Inoltre, bisogna considerare anche le voci di direzione lavori, obbligatoria in questi casi, e l’eventuale voce di coordinamento della sicurezza sul cantiere.

3-oneri di urbanizzazione, parcheggi e i diritti di segreteria comunali, anche questi non hanno una tariffa fissa ma variano da Comune a Comune.

4-interventi edili ed impiantistici: può capitare che con la richiesta di cambio d’uso si dovranno realizzare degli interventi necessari per ottenere e garantire il rispetto dei requisiti normativi. Ad ogni modo i costi per le ristrutturazioni variano molto in base a cosa di deve realizzare, quindi per ogni progetto si dovrà calcolare con precisione questa spesa.

Come per altri interventi edilizi e di contenimento energetico anche i lavori per il cambio di destinazione d’uso possono ricadere nelle detrazioni vigenti predisposte dall’Agenzia delle Entrate.

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